F.A.Q. Ambiente S.S.I.
Società Speleologica Italiana
Commissione Nazionale Tutela Ambiente
Gli speleologi possono intervenire a difesa e tutela dell’ambiente: come?
Domande e risposte
Società Speleologica Italiana, Commissione Nazionale Tutela Ambiente Speleologico
A cura di Giuseppe-Adriano Moro e Daniela Pani
L’articolo originale è reperibile qui
Introduzione
Le grotte e le cavità artificiali, così come le aree dove queste si sviluppano (generalmente i territori carsici), sono spesso interessate da progetti che hanno una forte vocazione lucrativa a scapito del territorio stesso. Nell’uso del territorio e delle sue risorse accade frequentemente che i beni grotta vengano degradati. Le grotte, per loro natura, appartengono a un mondo nascosto, noto solo a pochi che rappresentano una minoranza della popolazione italiana. A questi pochi, gli speleologi, spetta il compito di vigilare su quella parte di patrimonio comune, proprio dell’intero Paese, che si trova così lontano dal vedere e dal sentire della maggior parte dei cittadini. Accade talvolta che gli speleologi si trovino costretti ad affrontare nuove iniziative nel campo della pianificazione e della progettazione di interventi sul territorio, con competenze, ma un basso numero di persone coinvolte.
Spesso prevale un pessimismo comprensibile: “non possiamo fare nulla”.
Questo non è vero.
In molti casi del passato le istanze dei cittadini che si preoccupano della salvaguardia del bene ambientale si sono manifestate in forma conflittuale, attraverso l’attuazione di forme di dissenso e protesta. I risultati sono stati raramente quelli sperati. Proprio dalle esperienze del passato e grazie al mutamento occorso nella legislazione nazionale, nasce la necessità di trovare un nuovo approccio ai problemi ambientali, dove i cittadini competenti, nel caso gli speleologi, si presentino al pubblico e alle amministrazioni come interlocutori pronti a dare un contributo, in termini di critica e di interventi migliorativi.
Le attuali norme in materia ambientale consentono ai cittadini di intervenire a tutela di elementi del territorio e degli ecosistemi che fino a pochi anni fa erano esposti a qualunque aggressione da parte di soggetti, i cui obiettivi erano evidentemente differenti. Questa è un’occasione straordinaria per coloro che, come gli speleologi, hanno un bagaglio di conoscenze che consente loro di leggere il territorio in modo innovativo. Allo scarso numero si può ovviare attraverso la competenza, la
conoscenza dell’oggetto che si intende tutelare, sia questo una grotta, un ipogeo artificiale, un’area carsica.
Ma per ottenere risultati apprezzabili è necessario conoscere gli strumenti che la legge mette a disposizione dei cittadini. Poche cose da fare che, se fatte nel modo e nel momento giusto, portano a risultati inattesi.
E ora cerchiamo di dare una risposta al dilemma “che cosa possiamo fare?”
La Società Speleologica Italiana si è posta l’obiettivo di fornire agli speleologi italiani strumenti di conoscenza che permettano loro di rispondere a questo dilemma, attraverso la formazione di chi opera sul territorio e la creazione di una rete di connessioni, di condivisione di esperienze e competenze, innanzitutto fra le Federazioni Speleologiche Regionali. L’opera ha avuto inizio proprio con la formazione. Dal Corso di III Livello tenutosi a Levigliani nel 2011 è emersa
chiaramente la necessità di disporre di un vademecum, una sorta di manuale di pronto intervento per gli speleologi, cui si affianca la disponibilità dell’organo tecnico nazionale preposto a supportare la speleologia nel campo ambientale. Ecco dunque che nel 2012 il Gruppo di Lavoro Salvaguardia Aree di Interesse Speleologico diviene Commissione Nazionale per la Tutela dell’Ambiente (CNTA) e vedono la luce queste note. Come ogni strumento, sarà il suo uso a metterne in evidenza i pregi e i difetti. Per questo motivo tutti coloro che avranno occasione di leggere queste pagine e di affrontare determinati problemi con questo supporto, potranno contribuire a migliorarne la qualità, anche inviando semplicemente domande od osservazioni alla CNTA SSI. Oltre alla conoscenza delle regole del gioco in materia di salvaguardia e tutela ambientale è decisivo considerare il ruolo che hanno le comunità locali nel preservare, ad esempio, un territorio carsico. Trasmettere conoscenza, aggiornare su esplorazioni, far capire che le grotte sono parte di una complessa e vitale “macchina d’acquedotto”. Tutto questo è possibile se si è presenti, riconosciuti e credibili. Non si può dimenticare che l’uomo è parte del paesaggio. Serve salvaguardare la montagna e allo stesso tempo considerare che la stessa è vissuta, antropizzata è luogo di cultura e sedimentata tradizione. Riconoscere e rispettare sono i primi passi di un corretto approccio, la grammatica di base della consapevole salvaguardia.
Giuseppe-Adriano Moro
(coordinatore CNTA – SSI)
F.A.Q
1. GLI SPELEOLOGI HANNO STRUMENTI PER INTERAGIRE CON L’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA PER TUTELARE LE GROTTE ED I TERRITORI IN CUI QUESTE SI SVILUPPANO?
Si: l’evoluzione delle norme in materia ambientale ha fatto sì che il pubblico abbia a disposizione strumenti, previsti nella legislazione in vigore, per intervenire nelle fasi di approvazione di piani, programmi e progetti, siano essi elaborati da un soggetto pubblico o da uno privato.
2. COSA SI INTENDE PER PIANI E PROGRAMMI?
Un piano o un programma sono strumenti di pianificazione nella gestione del territorio. In pratica si tratta di ciò che definisce come una determinata porzione del territorio potrà e dovrà essere usata dall’uomo in futuro. Ad esempio, un Piano Regolatore è lo strumento attraverso cui un Comune individua le destinazioni per ogni area del territorio comunale, definisce le regole che dovranno essere seguite per intervenire su quelle aree, stabilisce dei limiti. Qualunque progetto si voglia
elaborare e realizzare entro quel contesto deve rispettare le previsioni del Piano. I programmi sono in genere molto simili ai piani, ma non riguardano solo l’uso del territorio. Un tipico programma è ad esempio quello relativo alle attività agricole di una regione, in cui vengono individuate delle misure volte ad orientare l’attività degli agricoltori, anche attraverso l’incentivazione economica. Quanto previsto in piani e programmi può portare a modificazioni rilevanti del territorio e del suo uso, che spesso coinvolgono direttamente od indirettamente ambienti di interesse per gli speleologi (aree carsiche, grotte ecc.).
Entrare nel merito dei piani e dei programmi dunque è di estremo interesse per chi intende tutelare una porzione di territorio, come possono essere delle cavità naturali o le aree in cui queste si sviluppano.
3. COS ’È UN PROGETTO?
Il progetto è rappresentato dal coordinamento di una serie di attività che hanno lo scopo di raggiungere un determinato obiettivo. La nozione di progetto è comune, ad esempio, nel caso in cui l’obiettivo sia costruire un edificio. Nella gran parte dei casi il termine “progetto” viene utilizzato anche per indicare gli elaborati che hanno lo scopo di definire le azioni, ad esempio i disegni tecnici o le relazioni. Un progetto può avere un obiettivo diverso dalla produzione di un bene materiale, si definisce ad esempio progetto il sistema di azioni coordinate che hanno per scopo la realizzazione di un’attività di studio o ricerca. Pianificare un campo in zona esplorazioni speleologiche significa, in ultima analisi, produrre un progetto. I progetti sono spesso elaborati in attuazione a piani o programmi, o comunque vengono inseriti nel quadro delle regole da questi definite.
4. GLI SPELEOLOGI POSSONO INTERVENIRE PER BLOCCARE L’APPROVAZIONE DI PIANI O PROGETTI DANNOSI PER L’AMBIENTE?
Si, tutti i cittadini hanno a disposizione uno strumento, definito “partecipativo”, per intervenire nella fase di approvazione dei progetti, dei piani e dei programmi che abbiano ricadute sull’ambiente sulla salute umana. Il processo partecipativo si esplica nell’ambito della formazione dei piani e della valutazione di piani o progetti.Il fondamento della possibilità di partecipazione risiede nella necessaria pubblicità. Chiunque proponga un piano, un programma od un progetto è obbligato dalla legge a darne pubblicità, ovvero a comunicare al pubblico la propria intenzione, mettendo a disposizione tutti gli elaborati ed i dati in proprio possesso. Alcune fasi del processo partecipativo sono riservate a soggetti che siano rappresentativi di determinate categorie di portatori di interesse, definiti spesso con il termine inglese di stakeholder.
5. GLI SPELEOLOGI POSSONO PORTARE IL PROPRIO PUNTO DI VISTA NEL CORSO DELLA NASCITA DI UN NUOVO PIANO O DI UN PROGRAMMA?
Ogni nuovo piano o programma predisposto da una Pubblica Amministrazione attraversa tre fasi fondamentali: la formazione, le osservazioni e l’approvazione. Nel corso della formazione di un piano o un programma le amministrazioni sono tenute a rendere pubblici tutti i documenti intermedi ed a organizzare una serie di incontri con il pubblico. In questa fase generalmente le amministrazioni informano il pubblico attraverso gli organi di stampa, gli albi e gli strumenti istituzionali come siti web o bollettini ufficiali. I portatori di interesse (cfr. § 11) vengono invitati direttamente e singolarmente a partecipare a dei tavoli tecnici.
Possiamo contribuire alla formazione di un piano?
I tavoli tecnici sono un’ottima occasione per portare le proprie istanze a coloro che stanno formando il piano o il programma.
Cosa succede durante un “tavolo tecnico”?
Innanzitutto in queste occasioni il lavoro in corso viene esposto ai partecipanti ai tavoli, in modo tale da rendere possibile la sua valutazione e l’elaborazione di contributi. Durante i tavoli tecnici, chi sta elaborando il piano o programma ascolta la posizione dei portatori di interesse. Dunque questa è la sede adatta per portare il contributo della speleologia. È importante, in questa fase, avere una buona conoscenza sia della realtà su cui insisterà il piano, sia una buona conoscenza di quanto
prevedono le norme ambientali italiane e comunitarie, oltre ad eventuali norme locali (regionali o provinciali) attinenti alla materia.
Partecipando ai tavoli tecnici, verremo ascoltati?
Tutte le richieste e le osservazioni dei portatori di interesse saranno necessariamente acquisite e valutate, ma per sortire un effetto queste dovranno essere formulate su solide basi scientifiche e normative. In sostanza, chiunque è libero di partecipare affermando che un piano non dovrebbe avere un certo contenuto perché lo trova sgradevole, ma è improbabile che una simile osservazione venga accolta. Se invece un’osservazione è supportata da conoscenze, dati, riferimenti normativi, è
difficile per chi elabora il piano sfuggire dalla necessità di tenerne conto. Si consideri che anche inquesta fase le osservazioni devono essere verbalizzate e devono essere trasmesse all’Autorità competente per iscritto, lasciando dunque traccia inconfutabile della loro formulazione.
6. COS ’È LA VIA?
VIA è l’acronimo di Valutazione di Impatto Ambientale. Si tratta di una procedura cui vengono assoggettati i progetti e ha lo scopo di valutare se l’impatto che questi hanno sulle componenti ambientali sia compatibile con un uso corretto del territorio, delle risorse naturali, con la salute pubblica e con le necessità di tutela ambientale definite dalle norme in materia.
Come funziona in pratica?
Si tratta in sostanza di un processo nel corso del quale un progetto viene analizzato, sulla base di informazioni e valutazioni elaborate a carico di chi ha proposto il progetto stesso (detto “proponente”). Il progetto e la relazione di Studio di Impatto Ambientale vengono esaminati dall’Autorità ambientale competente. Questa può essere rappresentata dalla Regione o Provincia Autonoma, o dallo Stato.
D. L.vo 152/2006, Art. 4
Comma 4 (…)
b) la valutazione ambientale dei progetti ha la finalità di proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita. A questo scopo, essa individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare e secondo le disposizioni del presente decreto, gli impatti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori:
1) l’uomo, la fauna e la flora;
2) il suolo, l’acqua, l’aria e il clima;
3) i beni materiali ed il patrimonio culturale;
4) l’interazione tra i fattori di cui sopra;
7. COS ’È LA VAS?
Si tratta della Valutazione Ambientale Strategica (VAS). È un procedimento analogo alla VIA, in particolare dedicato ai piani e ai programmi. In fase di VAS vengono perciò esaminati gli strumenti di pianificazione. Ad esempio, devono essere assoggettati a VAS i piani regolatori/urbanistici comunali, i programmi di sviluppo rurale, i piani di tutela delle acque, i piani di sviluppo turistico di una Regione. Attraverso questo processo l’Autorità competente in materia ambientale stabilisce se il piano o il programma sia compatibile con i principi definiti dalle norme in materia ambientale.
Perché viene prevista la procedura di VAS?
La procedura di VAS è stata introdotta nel 2001 dalla Comunità Europea per tutti gli Stati membri, attraverso la famosa Direttiva n. 42 (D. 2001/42/CE), quale processo finalizzato a garantire l’integrazione della variabile Ambiente nei processi di pianificazione, attraverso l’interazione tra la pianificazione e la valutazione, durante tutto il processo di impostazione e redazione di un piano di un programma.
A livello nazionale la Direttiva VAS è stata recepita dal D. L.vo 152/2006, che nell’Art. 4 Comma 4 recita:
a) la valutazione ambientale di piani e programmi che possono avere un impatto significativo sull’ambiente ha la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione, dell’adozione e approvazione di detti piani e programmi assicurando che siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile.
La valutazione ambientale strategica (VAS) dei piani e programmi deve essere intesa come un processo che accompagna l’elaborazione e l’adozione di un piano/programma al fine di garantire l’integrazione della componente ambientale. La VAS prevede che sin dalle prime fasi dell’elaborazione di un piano o di un programma debbano essere tenuti in considerazione gli effetti che il piano/programma stesso, una volta attuato, potrà determinare sull’ambiente. Il processo di
VAS comprende l’elaborazione di un rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del rapporto e degli esiti delle consultazioni, l’espressione di un parere motivato, l’informazione sulla decisione e il monitoraggio.
8. COS ’È LO SCREENING?
Il termine inglese screening si usa per indicare quel procedimento definito dalla legge come “verifica di assoggettabilità”. Si tratta di un procedimento attraverso cui l’Autorità ambientale valuta se l’attuazione di un determinato piano o programma può avere effetti significativi sull’ambiente e, quindi, se lo stesso debba essere sottoposto o meno a VAS o VIA.
Come viene attivata la verifica?
Il proponente un piano o un progetto deve fare istanza di verifica di assoggettabilità, fornire all’Autorità competente il piano o il progetto in forma preliminare, accompagnato da una relazione preliminare ambientale, i cui contenuti minimi sono definiti dalla legge.
I progetti ed i piani sono tutti sottoposti a VIA o VAS?
L’Autorità ambientale ha l’obbligo di assoggettare a VIA o VAS i progetti – programmi – piani individuati dalla legge, in altri casi il risultato del procedimento di screening dipende dalle caratteristiche dei piani e dei progetti, nonché dal livello di approfondimento dell’analisi effettuata nella relazione dello studio preliminare.
9. COS ’È LO SCOPING ?
Si tratta di una fase della procedura di VAS (fase di orientamento), finalizzata a definire le informazioni da riportare nel Rapporto Ambientale, nonché la loro portata e il loro livello di dettaglio. Questa è la fase in cui devono essere coinvolti i soggetti competenti in materia ambientale, ovvero le pubbliche amministrazioni e/o gli altri enti che possiedono specifiche competenze o responsabilità in materia ambientale.
10. COS ’È LA VALUTAZIONE DI INCIDENZA?
La Valutazione di Incidenza Ambientale (VIncA) è un processo attraverso cui vengono effettuate valutazioni in merito all’incidenza di un progetto (es., apertura di una grotta turistica) su habitat o specie di interesse comunitario, nell’ambito di siti tutelati dalla Direttiva 92/43/CE, nota come Direttiva Habitat.
La VIncA viene eseguita su tutto il territorio?
La Direttiva Habitat consente di individuare aree SIC e ZPS (cfr. 14 e ) , gli intereventi e i piani che interessino queste aree devono essere sottoposti a una valutazione di incidenza. Questa viene effettuata da un’Autorità competente sulla base dell’esame del piano-progetto-programma e di unarelazione di studio di incidenza.
Cosa viene valutato nella VIncA?
Nell’ambito dello studio di incidenza ha particolare importanza la valutazione delle interferenze del piano-progetto-programma con gli elementi tutelati dalla Direttiva Habitat, ovvero habitat e specie definite di interesse comunitario (es., comunità di chirotteri). Viene fatta particolare attenzione alle conseguenze che la realizzazione di un progetto o l’attuazione di un piano hanno. Ad esempio, l’apertura di una cava in zona carsica entro un sito Natura 2000 interferisce potenzialmente con le
grotte presenti nel sito. Le grotte sono habitat di interesse comunitario e quindi il proponente deve fornire gli elementi perché l’Autorità competente valuti gli effetti della cava sulle grotte della zona.
Che rapporto c’è fra VIncA e VIA/VAS?
La procedura di VIncA viene integrata in quella di VIA e di VAS quando progetti o piani sono assoggettati a questo procedimento. In questo caso gli Studi di Impatto Ambientale (SIA, cfr § 12) devono contenere gli elementi necessari per la VIncA.
11. CHI SONO I PORTATORI DI INTERESSE?
Portatore di interesse è qualunque categoria che possa essere in qualche modo interessata dagli effetti del Piano. Se, ad esempio, è in corso di approvazione il piano regolatore/urbanistico di un Comune nel cui territorio siano presenti fenomeni carsici, o cavità naturali o artificiali note, gli speleologi sono indubbiamente portatori di interesse per almeno tre buoni motivi:
– sono coloro che hanno a cuore la conservazione di quegli ambienti
– sono coloro che frequentano nel proprio tempo libero quegli ambienti
– sono coloro che meglio di chiunque altro soggetto conosce quegli ambienti
Se un Piano prevede qualcosa che possa danneggiare o, comunque, compromettere l’equilibrio e integrità delle aree carsiche, le cavità naturali o artificiali o anche limitare la possibilità degli speleologi di praticare la speleologia, allora gli speleologi possono intervenire nella formazione del Piano, portando il proprio punto di vista. È importante che gli speleologi siano riconosciuti come soggetti interessati in modo da essere invitati ai tavoli. Questo riconoscimento può avvenire sia per richiesta diretta di un’organizzazione speleologica (una federazione regionale, un gruppo o associazione speleologica), sia attraverso l’acquisizione da parte dell’Amministrazione competente degli elenchi delle associazioni di categoria riconosciute. Nel caso della speleologia, la Società Speleologica Italiana è riconosciuta come associazione di protezione ambientale e dunque deve essere invitata ufficialmente a partecipare ai tavoli tecnici.
12. GLI SPELEOLOGI POSSONO INTERVENIRE SU UN PROGETTO POTENZIALMENTE DANNOSO PER L’AMBIENTE CARSICO?
Ogni progetto deve attraversare alcune fasi autorizzative prima di essere realizzato. La legge attuale (Decreto Legislativo 152/2006) prevede la possibilità di partecipazione del pubblico alla faseautorizzativa. Il modo di intervenire è quello di predisporre delle osservazioni sui progetti e inviarle all’Autorità competente nel momento giusto.
Qual’è il momento giusto per intervenire?
Il momento giusto per presentare le osservazioni è rappresentato dalle due fasi di consultazione nel corso della verifica di assoggettabilità (screening) a VIA e della Valutazione di Impatto Ambientale.
Come possiamo essere a conoscenza dell’avvio delle fasi di consultazione?
L’avvio dei procedimenti e l’inizio delle fasi di consultazione devono essere resi pubblici. Gli avvisi vengono ad esempio pubblicati sul Bollettino Ufficiale della Regione competente per territorio. È importante tenere sotto controllo gli strumenti di informazione utilizzati nella propria Regione o Provincia a tale scopo.
Quanto tempo abbiamo per formulare ne osservazioni?
Nel corso di una fase di screening il pubblico può accedere ai documenti prodotti da chi propone il progetto, li può esaminare e formulare osservazioni entro 45 giorni dalla data di pubblicazione dell’avvio di procedimento. Nel caso della VIA invece i giorni a disposizione sono 60 dalla data di pubblicazione.
Come possiamo disporre dei progetti e dei documenti relativi?
Le autorità competenti oltre a pubblicare gli avvisi devono rendere accessibili via WEB i documenti forniti dal proponente. Dunque, non sarà più necessario, come avveniva un tempo, recarsi presso gli uffici della Regione o della Provincia per prendere visione dei documenti.
13. QUALI CONTENUTI DEVONO AVERE LE OSSERVAZIONI SU UN PROGETTO?
Le osservazioni sui progetti dovrebbero essere un contributo rivolto all’Autorità ambientale, quindi dovrebbero fornire indicazioni su carenze nello studio predisposto dai proponenti e mettere in evidenza valutazioni eventualmente omesse o errate da parte di questi.
Possiamo intervenire proponendo modifiche migliorative ai progetti?
Le osservazioni possono anche avere forma propositiva, ovvero individuare alcune modifiche al progetto e alle sue modalità di esecuzione, che consentano di ridurne gli effetti negativi. È preferibile intervenire in fase di screening o di VIA? In presenza di una procedura di screening i progetti possono essere avviati verso la procedura di VIA o autorizzati tali e quali. In questo caso l’obiettivo degli speleologi potrebbe essere quello difare sottoporre a VIA un progetto particolarmente critico. Nel caso in cui il progetto risulti “quasi accettabile” invece le osservazioni potrebbero mettere in evidenza le carenze e proporre delle prescrizioni finali, senza l’attuazione delle quali il progetto dovrebbe essere senz’altro mandato a VIA. Quando ci si trova di fronte ad una procedura di VIA, l’alternativa possibile è fra l’autorizzazione o la non autorizzazione. Si tratta in pratica di decidere fra “si” e “no”.Come è opportuno strutturare un documento recante osservazioni su un progetto? In generale è utile che le osservazioni seguano uno schema analogo a quello dello studio di impatto ambientale preparato dal proponente. Ma lo studio potrebbe essere carente e, quindi, chi fa le osservazioni potrebbe trovarsi nella condizione di mettere in evidenza mancanze, tenendo conto di aspetti ignorati dai progettisti e da chi ha redatto lo studio di impatto ambientale.
Un buono schema di lavoro, basato su un indice di studio di impatto ambientale, è quello che segue:
1) inquadramento normativo del progetto;
2) descrizione generale dell’area su cui avviene l’intervento;
3) descrizione puntuale dello stato di fatto dei luoghi su cui è progettato l’intervento,
comprensivo di dati relativi a tutte le componenti biotiche ed abiotiche degli ecosistemi
(dunque su fauna, flora, acque, morfologia, ecc., ecc.);
4) analisi del progetto e delle alternative progettuali;
5) scelta delle componenti ambientali con cui sono prevedibili interferenze;
6) interferenze fra progetto e componenti ambientali;
7) valutazione delle interferenze;
8) conclusioni (sintesi sull’impatto complessivo).
Supponiamo, ad esempio, che sia proposta la realizzazione di una nuova pista per lo sci alpino in una zona carsica. Innanzitutto, controlleremo se chi ha redatto il SIA abbia citato tutte le norme ambientali correttamente e se la procedura è stata avviata in modo corretto. Ogni errore procedurale invalida tutto e di fatto costringe il proponente a ripresentare il lavoro. Valutiamo quindi le informazioni fornite sull’area in generale e sul monte dove è progettata la pista da sci. Dobbiamo, in particolare, soffermarci su tutto ciò che può costituire l’insieme del monte e delle zone vicine, cioè il sistema. Verificheremo quindi se esiste un’esauriente trattazione in merito alla fauna e la flora presenti, descrizione delle morfologie superficiali, dei fenomeni carsici noti, del sistema idrologico del monte. Tutto ciò che può servire a descrivere l’area dovrebbe essere presente. Se manca qualcosa, dovremo farlo notare. Prendiamo appunti e creiamo una scaletta di osservazioni. Cosa fare se nello Studio di Impatto Ambientale si trovano informazioni errate? Controlliamo se le affermazioni fatte sono basate su bibliografia, studi specifici fatti dal proponente o se si tratta di affermazioni di carattere generale, non dimostrabili scientificamente. Spesso i proponenti non vogliono investire in studi specifici e questo costringe gli estensori degli studi di impatto ambientale ad attingere alla letteratura tecnica e scientifica, o a fare affermazioni che non sono dimostrabili su quel sito specifico. In questo caso lo dovremo mettere in evidenza. Se l’analisi del progetto parte da uno stato di fatto non preciso, o meglio carente, è ovvio che le valutazioni fatte dal proponente non potranno essere corrette. Un’altra cosa da controllare, nel caso che il proponente abbia fatto studi specifici, è come questi siano stati in realtà condotti. Se, per esempio, la raccolta di dati è parziale, o non ha tenuto conto di tutti gli strumenti possibili, o ancora è stata condotta in modo superficiale e affrettato, questo dovrà trasparire dalla relazione. Se mancano riferimenti chiari ai metodi usati per lo studio dell’area, questo dovrà essere rilevato con un’osservazione apposita. Come possiamo rendere più autorevole il nostro intervento? È importante ricordare che la VIA è un processo. Nel fare le osservazioni è necessario manifestare obiettività, anche se il progetto è evidentemente dannoso per l’ambiente, dichiararlo senza motivare in modo puntuale la propria affermazione è del tutto inutile: chi giudicherà dovrà in quel caso considerare irrilevanti le nostre osservazioni. Se invece le osservazioni fatte sono indiscutibili, il proponente dovrà trovare il modo per ribattere, attraverso controdeduzioni o integrazioni allo studio, o lasciare che l’Autorità competente tenga conto (in senso negativo) delle carenze del suo lavoro.Cosa faremmo se ci accorgessimo che il proponente ha ignorato aspetti di nostro interesse? Facciamo attenzione nel valutare la scelta delle componenti ambientali sensibili. Un vecchio trucco è quello di “dimenticare” alcune componenti che potrebbero essere particolarmente sensibili per il tipo di progetto elaborato. Supponiamo per assurdo, cioè, che in piena zona carsica il proponente non inserisca le grotte o le forme carsiche superficiali fra le componenti ambientali sensibili. È ovvio che si tratta di una grave dimenticanza, che escluderebbe l’analisi degli impatti su un aspetto fondamentale dell’area di intervento. In questo caso, sarà cura degli speleologi osservare la carenza e motivare la necessità di considerare grotte e forme carsiche, fornendo indicazioni in merito alla loro presenza e consistenza. Ecco che, ancora una volta, il catasto delle grotte rivela la sua importanza. Allo stesso modo faremo attenzione a come è stata analizzata l’interferenza fra progetto e componenti ambientali. Il proponente tenderà a minimizzare tutto, mentre noi dovremo essere precisi. Non dobbiamo mai proporre osservazioni illogiche o non dimostrabili, ma nemmenolasciare sfuggire i dettagli. Se, per esempio, parliamo di una pista da sci, potremmo ricordare all’Autorità competente che l’uso di innevamento artificiale modifica le caratteristiche dell’acqua di fusione e che questa va dritta sotto terra, alimentando corsi d’acqua sotterranei e acquiferi carsici. Se abbiamo informazioni relative al destino di quell’acqua, sarà utile inserirle nelle nostre osservazioni. Risulterà particolarmente utile se, ad esempio, l’acqua di fusione della neve artificiale finirà per vie carsiche in una sorgente che si trova in piena zona protetta, o in una che è utilizzata per alimentare un acquedotto. Nella valutazione delle interferenze dovremo verificare se il proponente consideri tutti gli aspetti dell’interazione fra progetto e componenti ambientali. Questa è una fase delicata degli studi di impatto ambientale, perché non esiste alcun modo oggettivo per fare questa valutazione. Ad esempio, dovremo prestare attenzione se vi sono potenziali effetti negativi su qualcosa che è tutelato per legge. L’esempio delle acque carsiche che alimentano la presa dell’acquedotto è ancora una volta fra quelli migliori. L’area di salvaguardia delle fonti di approvvigionamento idrico è molto limitata rispetto alla reale estensione degli acquiferi. In sostanza la legge protegge una zona piccolissima attorno all’opera di presa, o il corpo idrico superficiale se esiste. Ma se gli speleologi fossero in grado di dimostrare una connessione fra la zona del progetto e la sorgente, questo diverrebbe fondamentale. Anche un ragionevole sospetto che la connessione ci sia è sufficiente, tenendo conto della necessità di salvaguardare la salute pubblica, prioritaria rispetto a ogni iniziativa. Anche in questo caso dovremo argomentare in modo preciso e distinguere correttamente ciò che possiamo dimostrare da ciò che proponiamo in forma dubitativa.
Possiamo dare un giudizio complessivo sul progetto?
Certo, ma ricordiamo sempre che deve essere adeguatamente motivato. Nella sintesi finale dovremo richiamare tutte le nostre osservazioni e, se è il caso, dichiarare che si ritiene il progetto incompatibile con le previsioni delle norme vigenti. Il Decreto Legislativo 152/2006 afferma infatti che la valutazione ambientale di piani, programmi e progetti ha la finalità di assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, e quindi nel rispetto della capacità rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della salvaguardia della biodiversità e di un’equa distribuzione dei vantaggi connessi all’attività economica.
14. COS ’È UN SIC?
Si tratta di un Sito di Interesse Comunitario appartenente alla rete Natura 2000, ovvero una porzione di territorio, individuato in attuazione alla Direttiva Habitat (92/43/CEE), che nella o nelle regioni biogeografiche cui appartiene, contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale di cui all’Allegato I o una specie di cui all’Allegato II in uno stato di conservazione soddisfacente e che può inoltre contribuire in modo significativo alla coerenza di Natura 2000 (…) e/o che contribuisce in modo significativo al mantenimento della diversità biologica nella regione biogeografica o nelle regioni biogeografiche in questione. Per le specie animali che occupano ampi territori, i siti di importanza comunitaria corrispondono ai luoghi, all’interno dell’area di ripartizione naturale di tali specie, che presentano gli elementi fisici o biologici essenziali alla loro vita e riproduzione.
Un SIC è come un parco od una riserva?
Il SIC non rappresenta una vera e propria area protetta, come potrebbe essere un Parco o una Riserva, ma un sito proposto dallo Stato per la sua importanza nelle conservazione di habitat e specie, individuati a loro volta dalla Direttiva Habitat (allegati I e II). Nel momento in cui uno Stato individua un SIC inizia ad adottare alcune misure di salvaguardia, come la Valutazione di Incidenza Ambientale per tutti i progetti-programmi-piani che possano interferire con il buono stato di conservazione delle specie e habitat di interesse comunitario. Lo Stato si impegna anche a fare sì che le potenzialità del SIC in tal senso vengano conservate ed eventualmente migliorate. Non ci sono limitazioni reali sull’attività svolta dall’uomo entro un SIC, ma al suo interno è vietata la distruzione degli habitat di interesse comunitario.
Come viene attuata la salvaguardia nell’ambito dei SIC?
La gestione delle aree SIC passa attraverso l’individuazione di Misure di Conservazione e la predisposizione di Piani di Gestione (PdG). Le Misure di Conservazione sono in genere individuate per gruppi di SIC appartenenti ad un’unica area biogeografica. Le Misure possono essere trasversali, habitat specifiche, specie specifiche o dedicate ad un determinato sito. Ogni PdG viene elaborato per un sito singolo, come attuazione programmatica delle Misure di Conservazione. In un PdG è possibile che vengano individuate azioni non previste fra le Misure di Conservazione, quando queste si rivelino necessarie ai fini definiti dalla Direttiva Habitat. Adottato il Piano di Conservazione, entro sei anni dall’individuazione dell’elenco dei SIC, lo Stato designa il sito come Zona Speciale di Conservazione (ZSC).
15. LE GROTTE SONO TUTELATE DALLE NORME AMBIENTALI?
Rispetto alla normativa nazionale e alla legislazione sovraordinata, le grotte, le caverne, i territoricarsici, gli oggetti speleologici in genere, sono oggetto di interesse e tutela assoluta. Su tutte, il Codice 42/2004, il Codice Urbani, è la legge principe e principale per la Speleologia e gli speleologi. Ai sensi dell’art.142 del Codice Urbani, come poi modificato dal D.L.vo 157/06, la Grotta è un Bene paesaggistico. Sempre per Codice, le grotte, in generale gli elementi speleologici, rappresentano un elemento territoriale per il quale è necessaria e possibile la tutela (artt. 142 e 143). L’elemento territoriale è un Bene (non un male) appartenente a determinate categorie a cui è possibile ricondurre i singoli elementi con criteri oggettivi, in jure “vincoli ricognitivi”.
Come si attua nella pratica quanto previsto dal Codice Urbani?
A livello regionale italiano, l’impianto normativo Piano Paesaggistico Regionale delle Regioni che già ne sono dotate o che si stanno adoperando per istituirlo, è costruito in adeguamento all’articolo 143 del Codice Urbani, alla giurisprudenza costituzionale che si è susseguita in materia (indicata nei riferimenti bibliografici normativi), nonché alla Convenzione europea del paesaggio. Una nota di dettaglio è, in particolare, doverosa per far comprendere agli speleologi quale peso e giusto valore sia dato alle grotte dalla normativa italiana. Nella declinazione normativa sovraordinata a livello regionale attraverso i Piani Paesaggistici Regionali, le grotte hanno carattere di esclusività, rappresentano la vera “eccezione” perché sono gli unici elementi territoriali che possono appartenere a differenti categorie (speleologia, idrografia, geomorfologia, archeologia, infrastrutture, turismo…) e ambiti (ambientale, storico-culturale, insediativo). Questo non accade a tutto il resto degli elementi (un fiume, un vulcano, una strada, una chiesa, una sagra,…) appartenenti a una sola categoria di cui sono maggiormente rappresentativi. La funzione di una grotta risulta spesso sovrapposta e integrativa in termini di contenuti rispetto alle altre categorie.
Le norme in materia ambientale si occupano delle grotte?
La legge quadro in materia di ambiente (D.L.vo 152/2006) non cita esplicitamente le grotte e i sistemi carsici, ma vi si riconduce.
Di grotte si occupa anche la Direttiva Habitat (92/43/CEE): le grotte non sfruttate a livello turistico sono habitat di interesse comunitario, inserite nell’elenco dell’Allegato I della Direttiva con il codice 8310, le grotte marine sommerse o semisommerse sono presenti con i l codice 8330. Inoltre risultano elencati i pavimenti calcarei (8240) che costituiscono habitat “prioritario” per l’Unione Europea. Sulla base della Direttiva Habitat dunque le grotte sono tutelate entro i limiti della rete Natura 2000, ma lo Stato si impegna a garantire una certa tutela su tutto il territorio nazionale.
16. LE ACQUE SOTTERRANEE SONO TUTELATE?
Prima ancora del Codice Urbani e del D.L.vo 152/2006, le acque sotterranee sono oggetto di tutela ai sensi del Regio Decreto n° 1775/1933, normativa ancora vigente e vegeta e costituzionalmente valida. Le acque sotterranee sono oggetto di salvaguardia ai sensi del D.L.vo 152/2006, che prevede specifici obiettivi di qualità per esse, in attuazione alla Direttiva 2000/60/CE. La norma presenta tuttavia una lacuna relativa ai corsi d’acqua sotterranei. Per il 152/06 infatti si parla di acque sotterranee quando queste sono situate sotto il livello di saturazione, ovvero quando costituiscono un acquifero. Le acque superficiali sono oggetto di altre misure di tutela, ma nulla viene esplicitamente riferito ai corsi d’acqua sotterranei. È in effetti possibile considerare in toto come “fiume” un corso d’acqua che abbia almeno un tratto superficiale riconoscibile e di cui sia dimostrata la continuità, ma non vi sono indicazioni relative a quei torrenti sotterranei che, pur trasferendo grandi quantità di acqua all’interno delle zone carsiche, non hanno una porzione superficiale nota.
Quindi i corsi d’acqua sotterranei non sono oggetto di tutela?
In ogni caso, tutte le acque sono pubbliche (R. D. 1775/1933) e la legge prevede la loro tutela qualitativa e quantitativa. In mancanza di parametri specifici per le acque sotterranee di zona vadosa è possibile richiamare le norme relative alla qualità chimica delle acque sotterranee in zona satura, poiché lo stato di quelle presenti a profondità minori influenza direttamente quello degli acquiferi sottostanti. In questo caso vige un principio generale di salvaguardia e precauzione, in particolare a tutela della salute pubblica. Considerato che spesso mancano prove dirette in merito all’estensione reale delle zone di carica degli acquiferi è necessario provvedere alla tutela qualitativa e quantitativa delle acque nel bacino idrogeologico potenziale. Nel caso dei sistemi carsici questa tutela può essere richiesta per le zone di assorbimento in quanto direttamente connesse agli acquiferi sottostanti, utilizzati a scopo idropotabile o potenzialmente utilizzabili a tale fine.
RIFERIMENTI NORMATIVI
Tutela paesaggistica
Legge 29 giugno 1939, n. 1497 – “Protezione delle bellezze naturali” (GU n. 241 del 14-10-1939)
Legge 8 agosto 1985 n° 431 – Conversione in legge recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale. (GU n. 197 del 22 agosto 1985)
Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n ° 42 (GU del 24.02.2004) – Codice dei beni culturali e del paesaggio– Codice Urbani
Valutazione di Impatto Ambientale
Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152. Articoli 4- 9, 19-29.
Valutazione Ambientale Strategica
Direttiva 2001/42/CE
Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152. Articoli 4- 9, 11-18.
Decreto Legislativo 26 agosto 2010 n. 128
Valutazione di Incidenza Ambientale
Direttiva 92/43/CEE “Habitat”
Decreto Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n. 357, Art. 5.
Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152, Articoli 6 e 10.
Screening – Verifica di Assoggettabilità
Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152. Articoli 12 (VAS) e 20 (VIA).
SIC – ZPS
Direttiva 92/43/CEE “Habitat”
Decreto Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n. 357 e successive modifiche.
Tutela delle acque
Regio Decreto 11 dicembre 1933 n° 1775 – Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici
Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152. Articoli 4- 9, 11-18.
PICCOLO GLOSSARIO DEI TERMINI
Autorità competente: indica la pubblica amministrazione cui compete l’adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità, l’elaborazione del parere motivato.
Autorità procedente: si riferisce alla pubblica amministrazione che elabora il piano. Per esempio, nel caso di Piani regolatori/urbanistici comunali, l’Autorità Procedente è rappresentata dall’Amministrazione Comunale.
Soggetti competenti in materia ambientale: indica le pubbliche amministrazioni ed enti pubblici che, per le loro specifiche competenze o responsabilità in campo ambientale, possono essere interessati agli impatti sull’ambiente dovuti all’attuazione di piani o programmi.
Pubblico: si indica con tale termine una o più persone fisiche o giuridiche nonché, ai sensi, della legislazione vigente, le associazioni, le organizzazioni o i gruppi di tali persone (es. Federazioni Regionali, gruppi speleologici).
Pubblico interessato: pubblico che subisce o può subire gli effetti delle procedure decisionali in materia ambientale o che ha un interesse in tali procedure (es., la Società Speleologica Italiana). Le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente e che soddisfano i requisiti previsti dalla normativa vigente, sono considerate come aventi interesse.
Rapporto Ambientale: il documento fondamentale che deve dare conto dell’intero processo di elaborazione e adozione di un Piano, dimostrando che i fattori ambientali sono stati integrati nel processo decisionale con riferimento agli atti normativi e programmatici per lo sviluppo sostenibile definiti a livello internazionale, comunitario, nazionale e regionale.